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Referendum sul lavoro 2025: perché votare SÌ al quesito n. 3 significa combattere la precarietà

L’8 e 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati a votare su quattro referendum promossi dalla CGIL. Tra questi, il quesito n. 3 è dedicato a una battaglia cruciale: limitare il ricorso indiscriminato ai contratti a tempo determinato e contrastare la precarietà lavorativa, soprattutto quella breve e brevissima.

Cosa prevede il quesito?

Il referendum propone di abrogare parzialmente il decreto legislativo 81/2015 (Jobs Act), reintroducendo l’obbligo per i datori di lavoro di indicare una causale anche per i contratti a termine di durata inferiore a 12 mesi. In pratica, un’azienda che vorrà assumere per meno di un anno dovrà giustificare per iscritto il motivo dell’assunzione, e tale motivazione dovrà rientrare tra quelle previste dai contratti collettivi nazionali più rappresentativi.

Inoltre, si punta a eliminare la possibilità di concordare liberamente una causale tra datore di lavoro e lavoratore, pratica che spesso ha aggirato lo spirito della normativa, facilitando abusi e turn over sistematico.

Smontare le critiche: non è vero che il referendum è inutile

Tra le obiezioni più diffuse c’è l’idea che il referendum non risolva davvero la precarietà. L’articolo risponde con forza: è falso pensare che non serva.

Reintrodurre la causale significherebbe porre un freno concreto al dilagare di contratti brevi senza giustificazione, imponendo limiti reali alle aziende.

Non si eliminerà la precarietà, certo, ma si ridurrà la possibilità di abusarne.

Un danno per i giovani? Una falsa narrazione

Chi si oppone sostiene che questo freno ridurrà le opportunità per i giovani. Ma la realtà è un’altra: maggiore flessibilità non ha mai generato più occupazione.

Anzi, ha solo normalizzato il lavoro precario, senza dare tutele. Reintrodurre le causali rafforza il principio secondo cui il contratto standard deve essere quello a tempo indeterminato.

Contro l’abuso dei contratti brevissimi

Il referendum colpisce anche un’altra stortura del mercato del lavoro: l’uso sistematico di contratti da pochi giorni o poche settimane, spesso ripetuti più volte sullo stesso lavoratore.

Questo meccanismo, che consente un “ricambio” continuo senza stabilità, sarebbe limitato. Si potrà continuare ad assumere per meno di un anno, ma solo per motivi reali e verificabili, come picchi produttivi o attività temporanee, sempre definiti dai contratti collettivi.

Un ruolo centrale alla contrattazione collettiva

Il quesito non elimina la contrattazione, anzi: rafforza il ruolo delle parti sociali, prevedendo che le motivazioni dei contratti brevi siano coerenti con quanto stabilito dalle rappresentanze dei lavoratori. Questo riduce l’arbitrio e aumenta le tutele, riequilibrando i rapporti tra azienda e dipendente.

Conclusione

Questo quesito, se approvato, non sarà la soluzione a tutti i mali del mercato del lavoro, ma rappresenta un passo concreto verso un lavoro più dignitoso, stabile e giustificato.

Dire significa chiedere che il lavoro torni a essere una garanzia, non un’incognita.

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